Acquaforte
L’acquaforte è la prima tecnica indiretta in cavo ed è la più usata come mezzo espressivo dagli artisti antichi e moderni, per la libera gestualità dell’operatore a differenza di altre che hanno bisogno di lungo tirocinio. Nell’interpretazione più plausibile, l’origine dell’acquaforte risale al medioevo, periodo in cui si usava l’acido nitrico (in Latino aqua-fortis, definizione medioevale degli antichi alchimisti) per incidere fregi e decorazioni su armi e armature. Successivamente il nome e la tecnica vennero adottati dagli artisti incisori: questo passaggio risale al periodo tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Si opera con questa successione: la superficie della lastra, dopo essere stata levigata e sgrassata viene coperta da uno strato sottile uniforme di cera per acquaforte (verniciatura) poi annerita con nerofumo per rendere la cera più resistente all’azione degli acidi e più visibili i segni. Con una punta di acciaio, leggermente arrotondata, si esercita una pressione sufficiente a scoprire il metallo, tracciando i segni che comporranno l’immagine.
Protetti i margini e il retro con una vernice si immerge la lastra incerata in una bacinella contenente acido diluito che morderà il metallo dove il disegno ha scalfito la cera mettendo a nudo il metallo stesso.
Gli acidi più in uso che si trovano senza difficoltà in commercio sono l’acido nitrico e il percloruro di ferro. Il nitrico si usa quasi esclusivamente per lastre di zinco, il percloruro per quelle di rame e di ottone.
L’acido nitrico, durante la morsura (azione corrosiva dell’acido), libera un gas che genera tante bollicine sopra i segni, queste al momento della formazione devono essere tolte con una piuma di animale acquatico (è più resistente) per avere un segno regolare.
Invece il percloruro di ferro nella reazione chimica deposita in fondo ai segni una poltiglia color ruggine che impedisce la regolare morsura, per cui al lastra va lavata spesso, oppure capovolta, dando modo alla poltiglia di precipitare sul fondo della vasca. Si ottengono segni e risultati diversi variando i tempi di morsura e la concentrazione dell’acido.
Puntasecca
Si dice puntasecca quella tecnica ove si incide direttamente il metallo, senza servirsi di acidi. Lo strumento utilizzato è in prevalenza una punta affilata di acciaio o una punta di diamante. Con una diversa pressione esercitata sulla punta si determina la variazione di profondità e quindi di larghezza del solco, che poi stampato, darà un segno più o meno intenso.
Esercitando una pressione sulla lastra per tracciare i segni, la punta penetra nel metallo, spostando sui lati del solco sottili lamine, dette “barbe”, che nella fase di stampa trattengono l’inchiostro, dando come risultato un segno vellutato e pastoso, caratteristica peculiare di questa tecnica.
Queste barbe vengono staccate o schiacciate durante la pulitura della lastra o sotto la pressione del torchio, per cui il segno diminuisce di forza dopo la stampa di pochi esemplari. Per queste sue caratteristiche la puntasecca non è mai stata usata come tecnica riproduttiva.
Acquatinta
L’acquatinta è una incisione indiretta e può essere considerata una variante tecnica dell’acquaforte poiché le corrosioni avvengono con l’aiuto di un acido.
Il procedimento è identico a quello descritto per l’acquaforte, ma con effetti simili all’acquerello, ottenuti con una lastra granulata. La granulazione si effettua facendo cadere sopra la lastra calda granelli di bitume, che fondono attaccandosi alla lastra e formano un fondo più o meno denso.
L’acquatinta è una tecnica di carattere tonale: anziché formare l’immagine attraverso una serie organizzata di segni, realizza aree di intensità e forma controllata. Per fare ciò si interviene sulla matrice con uno speciale trattamento che riesce a corrodere la superficie della lastra determinando rugosità che trattengono l’inchiostro di stampa; tale rugosità viene detta granitura. L’acquatinta si realizza ricoprendo la lastra con uno strato, più o meno fitto a seconda della composizione che si vuole ottenere, di grani di colofonia (pece greca) o con grani di asfalto macinato (granitura). Questi vengono, mediante calore, fatti fondere in modo che aderiscano al metallo. Sulla lastra così preparata, l’acido penetra negli interstizi tra i vari granelli corrodendo il metallo in modo del tutto particolare e rendendone “spugnosa” la superficie.
Con tale sistema si ottengono, in fase di stampa, effetti vellutati e una serie di toni sfumati.
Xilografia
La xilografia è una incisione in rilievo. La matrice è una tavola in legno. Il legno è detto di “filo” se la tavola è tagliata longitudinalmente rispetto al tronco oppure di “testa” se tagliata trasversalmente. La prima, più morbida, è meno precisa ai segni mentre le matrici di legno di testa, fabbricate unendo insieme diversi tasselli selezionati, compatte e prive di venature, possono essere incise con linee molto sottili e ravvicinate producendo quindi disegni assai ricchi e dettagliati.
Il disegno sulla tavola è realizzato in rilievo. Le parti scavate con un particolare strumento detto sgorbia risulteranno alla stampa bianche mentre quelle in rilievo risulteranno nere.
Le prime stampe su carta ricavate da matrici in legno incise sono state realizzate in Cina e risalgono all’VIII secolo. In Europa, sulla base di alcuni documenti si deduce che la produzione delle prime xilografie (semplici figure di santi e carte da gioco) debba risalire alla fine del XIV secolo o agli inizi del XV secolo. Queste antiche stampe votive erano immagini essenzialmente lineari, spesso abbellite dalla coloritura a mano.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili, che applicava ai segni alfabetici il principio della stampa in rilievo, e il conseguente sviluppo dell’editoria hanno rappresentato un campo di utilizzo e applicazione privilegiato per la xilografia: negli ultimi decenni del XV secolo si è consolidata la produzione di libri illustrati con xilografie, soprattutto in Germania e Italia.
Si tratta sempre, anche per le immagini più raffinate, di opere di artisti anonimi o identificati solo in via ipotetica, fino all’emergere della personalità di A. Dürer, che, nel giro di pochi anni, complici anche le innovazioni tecniche in materia di torchi da stampa e inchiostri, maturate con gli inizi della tipografia, ha sviluppato enormemente il linguaggio della xilografia, aggiornando le possibilità di rappresentazione della tecnica ai nuovi dettami dell’arte rinascimentale, ideando composizioni di grande respiro e complessità.
Un nuovo momento di grande innovazione si è avuto alla fine del Settecento, con l’affermarsi della nuova tecnica di incisione su legno di testa, che ha implicato un mutamento radicale di linguaggio incisorio, ed ancora alla fine del secolo scorso con le incisioni su legno di Gauguin, iniziatrici della xilografia moderna.
Litografia
Il principio della litografia è estremamente semplice: un particolare tipo di pietra, opportunamente levigata e quindi disegnata con una matita grassa, ha peculiarità di trattenere nelle parti non disegnate (dette contrografismi) un sottile velo d’acqua, che il segno grasso (detto grafismo) invece respinge. Passando l’inchiostro sulla pietra così trattata, esso è respinto dalle parti inumidite e trattenuto dalle parti grasse. Al torchio, perciò, il foglio di carta riceve solo l’inchiostro che si deposita sulle parti disegnate e non sulle altre.
Serigrafia
La serigrafia è una tecnica di stampa di tipo permeografico che utilizza oggi come matrice un tessuto di poliestere teso su un riquadro in legno o metallo definito come quadro serigrafico o telaio serigrafico.
Il termine “serigrafia” deriva dal latino “seri” (seta) e dal greco “γράφειν” (gràphein, scrivere), dato che i primi tessuti che fungevano da tessuto per serigrafia erano di seta.
La permeografia si basa su un processo di impermeabilizzazione di ben delimitate aree del tessuto di stampa in modo da consentire ad un inchiostro posto sopra tale tessuto di permeare attraverso il tessuto lasciato libero e passare sulla superficie posta sotto il quadro serigrafico. Il passaggio o permeazione dell’inchiostro dalla parte superiore del quadro serigrafico alla superficie di stampa posta sotto, attraverso il tessuto serigrafico avviene tramite un passaggio con una leggera pressione di una barra dotata di un bordo in elastomero poliuretanico che si appoggia sull’inchiostro e preme quest’ultimo attraverso il tessuto da stampa tramite un movimento di scorrimento. Questa barra viene definita spremitore o racla per serigrafia.
Questa azione di stampa può venire ripetuta in modo ciclico a mano o tramite apposite macchine da stampa serigrafiche raggiungendo una elevata velocità di produzione in grado di soddisfare a seconda delle attrezzature disponibili l’industria o l’artigiano.